di Monica Napoli – Psicologa e Psicoterapeuta Familiare

La nascita di un figlio è un evento straordinario, forse uno tra i più sconvolgenti nella vita di una donna.

L’immagine che noi tutti abbiamo di una neomamma è il ritratto della gioia, della felicità…e come potrebbe essere altrimenti, dopo aver dato alla luce una creatura che amiamo più della nostra vita?

E allora… cos’è quella strana sensazione di tristezza che spesso accompagna le mamme nei primi periodi della loro nuova vita? Ma non sarà sbagliato piangere silenziosamente di malinconia quando invece si dovrebbe esplodere di gioia e serenità?

No, non è sbagliato, e anzi, è del tutto normale.

La nascita di un figlio, e la nascita di una madre, comportano notevoli cambiamenti, non solo nell’organizzazione pratica della vita quotidiana, in cui la mancanza di sonno, i nuovi orari, i nuovi ritmi e la continua richiesta da parte del neonato fanno già la loro parte, ma anche nella immagine che la donna ha di sè.

Una vera e propria elaborazione del lutto, per la perdita di aspetti di sè che magari erano fondanti e che adesso lasciano un vuoto; e contemporaneamente un riassetto della propria identità su elementi nuovi, ancora da sperimentare, con cui prendere le misure.

La donna ha il duro compito, necessario, di confrontarsi con le profonde trasformazioni che avvengono in lei e nel suo contesto familiare: un corpo nuovo, modificato, spesso lacerato, dolorante; una nuova femminilità, da scoprire e valorizzare, che nei primi tempi può far penare; un nuovo ruolo, quello di madre, che la costringe a ri-guardare al rapporto con la propria madre ed al proprio ruolo di figlia; il passaggio da una a due nel rapporto con il figlio, e da due a tre della coppia con il figlio.

Anche il vissuto di lutto rispetto alla coppia ha un peso importante in questa fase, è necessario ri-organizzarsi sulla base delle richieste del nuovo arrivato, “perdendo” alcuni momenti, o abitudini di coppia che si erano consolidati, e lavorare per costruirsi altri modi nuovi di stare insieme.

Tutto questo, unito ai fisiologici cambiamenti ormonali che caratterizzano la fase post partum e che consentono alla donna di prendersi cura del proprio figlio, di allattare, di stare sveglia di notte, di far rientrare l’utero al suo posto, rende la donna particolarmente vulnerabile, invasa di gioia quanto di tristezza.

Bowlby ritiene che questo stato depressivo caratteristico della prima fase della maternità sia funzionale ed adattativo per la donna, per affrontare i cambiamenti descritti, e che duri finchè non si sia trovata una nuova organizzazione di sè, un nuovo equilibrio, nuove forme di scambio tra sè e l’ambiente.

Winnicott lo definisce “baby blues”, uno stato depressivo transitorio e di lieve entità, che colpisce l’80% delle neomamme e dura per circa 2-3 settimane.

Purtroppo l’immaginario collettivo non prevede che una madre possa provare sentimenti diversi da un’appagante felicità, e per questo la maggior parte delle donne prova profondi sensi di colpa rispetto ai propri vissuti negativi, che tende quindi a nascondere, non riconoscendo loro la dovuta legittimità.

Questo è forse l’unico aspetto pericoloso di questa condizione: il fisiologico baby blues rischia, nel 10-15% dei casi, di trasformarsi in vera e propria depressione post partum, una condizione più strutturata e duratura, che può compromettere la funzionalità psico fisica e sociale della donna, oltre che la costruzione di un buon legame e di una buona sintonia madre bambino.

I fattori protettivi per evitare di cadere in una depressione sono:

  • un buon percorso di accompagnamento alla nascita, che dia spazio alla madre di esprimere bisogni, paure, preoccupazioni, di avere tutte le informazioni necessarie, e di potersi confrontare con altre mamme. Solitamente questi percorsi vengono offerti gratuitamente da tutti i consultori.
  • poter contare su una solida rete sociale che argini il rischio di solitudine.
  • la capacità e la possibilità di chiedere aiuto, di comunicare le proprie emozioni, anche se negative, senza sentirsi giudicate.
  • un sostegno nella quotidianità, la comprensione e l’ascolto empatico del partner e dei familiari.

Pertanto, è fondamentale che la donna in gravidanza, o la neomamma, si rivolga ai centri del suo quartiere, ai consultori, alle associazioni; che possa beneficiare del sostegno e della vicinanza del partner e dei familiari, che possa frequentare altre mamme con cui confrontarsi e condividere, delicatamente, emozioni paure e preoccupazioni; perchè il senso di solitudine, purtroppo, necessariamente arriva, ma può essere gestito ed arginato attivando tutte le risorse possibili, non ultimo quella di rivolgersi a persone esperte che possano fornire un sostegno adeguato a questa delicatissima fase della vita.

Allo stesso modo, e con la stessa grave importanza, non bisogna sottovalutare la possibilità che anche il padre sviluppi uno stato dell’umore di tipo depressivo in questa fase della propria vita personale e familiare. Arieti ritiene che i sentimenti ostili che il padre può provare inconsciamente nei confronti del figlio, vissuto come una minaccia, come un usurpatore dell’amore della sua compagna, rischino di minare l’immagine di sè e la propria autostima, generando un’autodefinizione negativa e difficilmente controllabile, proprio perchè inconscia.

Il pericolo, in questi casi, è che il padre non renda la dovuta attenzione a questi vissuti, considerandoli esclusivamente patrimonio materno, e non cerchi quindi l’aiuto di cui avrebbe bisogno, anche in questo caso o di un supporto familiare e sociale per affrontare questo stato o un sostegno esterno esperto.

Per maggiori informazioni sull’argomento è possibile scrivere una mail a info@alcentroroma.it o chiamare il 3334589893, vi risponderà un nostro esperto. 

Il primo incontro conoscitivo è sempre gratuito.