A cura della dott.ssa Federica Lembo, Psicologa-Psicoterapeuta

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Dal 5 marzo 2020 la scuola è chiusa a causa dell’emergenza Covid 19. Se con la cosiddetta fase 2 molte attività sono ripartite, la scuola no. Intorno ad essa si è come creato un alone pesante di incertezza e confusione ed è cresciuto nella comunità di studenti, genitori e insegnanti il senso di allarme per questa mancanza. La mancanza di un contenitore fondamentale. Un contenitore non solo di apprendimenti, ma anche e soprattutto di emozioni, relazioni, socialità che solo in parte ed in modo spesso molto limitato la scuola virtuale, attraverso la didattica a distanza, è riuscito a far vivere.

Qualche giorno fa, per la precisione l’8 giugno, in occasione di quello che avrebbe dovuto essere l’ultimo giorno di scuola in tutta Roma (e non solo) si è svolta una manifestazione, promossa da associazioni e comitati di genitori, dal titolo altamente evocativo: “Apriti Scuola!”. Un invito. Una preghiera. Una formula magica per rendere accessibile un luogo in cui è custodito un tesoro.

La manifestazione aveva in sé l’obiettivo di chiedere un investimento sulla scuola, una nuova progettualità, ma anche portare una presenza: quella dei genitori, dei ragazzi, dei bambini che più di tutti hanno fatto le spese di questa traumatica interruzione. Inoltre era un saluto. Un ritrovarsi, necessario per potersi separare e traghettare verso una nuova fase.

Il tutto ha assunto più o meno consapevolmente i contorni di un rito. C’è stato chi ha appeso il grembiule al cancello, altri hanno lasciato un disegno, un messaggio, alcuni hanno piantato alberi, altri ancora  hanno cantato. Una mamma, durante una riunione della fase organizzativa, sosteneva fosse meglio incontrarsi al parco per manifestare, che forse per i bimbi era triste confrontarsi con quell’edificio inanimato. Un’altra le ha risposto: “E invece no! È proprio lì che bisogna andare, davanti al cancello chiuso e io lì quasi quasi ci lascio un fiore perché questo è un lutto!”. Trovo molto interessante lo scambio tra queste due madri. Getta una luce su alcune delle emozioni che hanno accompagnato questo periodo, unico nel suo genere.

L’emozione prevalente che è circolata nelle famiglie sembra essere quella della perdita e del senso di abbandono.

Inizialmente molti genitori, affiancando i loro figli nella didattica a distanza o strutturando per i più piccoli routine e pratiche che scandissero il tempo (cosa invero consigliata da più parti) hanno provato a sostenere o mimare quel contenitore/apparato mentale così necessario alla crescita.Alla lunga però, nella gran parte dei casi,bambini e genitori si sono scoperti stanchi, frustrati e demotivati. Per chi si stava facendo quel grande sforzo? Per cosa? Era mai esistita davvero la scuola o era stata solo sognata? Si sarebbe mai tornati sui banchi? E quando?

A questo punto la mancanza si è sentita senza equivoci e le risposte sono state le più varie. Delle conseguenze psicologiche su bambini e adolescenti si è cominciato a parlare: disturbi del sonno, apatia, comportamenti regressivi, sintomi ansiosi, crisi di rabbia. Si tratta di fenomeni più direttamente legati all’isolamento forzato che però la chiusura della scuola, agenzia di socializzazione seconda solo alla famiglia, veicola e rappresenta.  La comunità professionale di medici e psicologi ha segnalato il problema, ponendo la questione della ripresa all’attenzione della politica.

Quanto ai genitori è prevalsa la preoccupazione per il futuro. In un processo di identificazione con i loro figli, taluni hanno incontrato un aspetto depressivo sperimentando angoscia, rabbia e impotenza.

Il lato positivo della vicenda sembra essere stata la possibilità di mettere in comune questo vissuto. I traumi si possono tollerare meglio se condivisi. E proprio questo sembra che stia accadendo. Il saluto alla scuola dell’8 giugno è stata la tappa di un percorso all’interno del quale poter  elaborare sentimenti complessi , sperimentare possibilità generative e riparative, coltivare soluzioni e speranza.