Dott.ssa Monica Napoli       Psicologa – Psicoterapeuta        Esperta in psicologia giuridica

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In questi giorni si sta discutendo approfonditamente del disegno di legge presentato dal sen. Pillon in tema di affido condiviso, mantenimento diretto e garanzia di bigenitorialità.

La proposta ha suscitato molta disapprovazione nella comunità scientifica competente, la quale, pur condividendo la necessità di garantire una responsabilità genitoriale ed una significativa presenza ad entrambi i genitori dei minori coinvolti nei casi di separazioni o divorzi, come peraltro già si realizza in gran parte dei procedimenti di questo tipo, pone l’attenzione su alcuni temi che potrebbero essere riformulati, o quantomeno essere oggetto di un costruttivo confronto.

La critica principale riguarda la centralità del benessere del minore, che nella giurisprudenza attuale viene assolutamente e da più parti sostenuta. Nella proposta di legge in oggetto, questo tema viene espresso attraverso l’indicazione, in termini di obbligatorietà, di una pari frequentazione tra entrambi i genitori con i figli. Anzi, tra padre e madre, escludendo quindi a priori la possibilità che possano esistere famiglie con genitori dello stesso sesso.

Questa equità ed equipollenza nella frequentazione si disegnerebbe come un numero pari di giorni al mese (e comunque minimo 12) compresi i pernottamenti, con ognuno dei genitori, e la doppia residenza del minore, quindi come una sorta di pendolarismo del minore tra le due case di riferimento.

Quanto questo sia davvero espressione del bisogno del minore di avere accanto a sé entrambi i genitori, o piuttosto del bisogno di rivendicazione, di controllo, di partecipazione degli adulti è proprio il tema tanto dibattuto. C’è da chiedersi se questo provvedimento possa risultare, al contrario degli intendimenti iniziali, lesivo di un necessario bisogno di sicurezza e di stabilità del minore, del bisogno di riconoscere uno spazio personale di riferimento costante e stabile rispetto agli enormi mutamenti che si stanno compiendo ai suoi occhi e intorno a sé, nonché del bisogno di mantenimento delle relazioni amicali, delle abitudini quotidiani, dei luoghi di riferimento, delle frequentazioni extra scolastiche.

In particolare poi, non viene fatta alcune distinzione di questo principio sulla base dell’età del minore. Non viene, pertanto, tenuta in considerazione la differenziazione dei bisogni affettivi ed emotivi in relazione alle differenti fasi del ciclo evolutivo del minore ed ai relativi bisogni di identificazione.

O forse la responsabilità genitoriale, in un’era caratterizzata dall’eccessivo dinamismo e da una sempre maggiore velocità, deve necessariamente esprimersi con lo stesso movimento, con la stessa feroce mutabilità e con un calcolo quantitativo piuttosto che qualitativo del tempo che si trascorre insieme?

Occorre allora forse poter trovare nuovi strumenti per rassicurare i genitori circa la loro partecipazione e responsabilità nella vita e nella crescita dei figli?

Il rischio, da più fonti riportato, è che nel tentativo, legittimo, di garantire uno spazio di genitorialità ad entrambe le figure coinvolte, si possa al contrario alimentare la conflittualità tra le parti, legata anche alle manifestazioni di controllo e rivendicazione reciproci.

Per esempio, nel ddl in questione sarebbe indicato che il giudice possa provvedere all’allontanamento del minore dal genitore che ostacoli la relazione con l’altro genitore “pur in assenza di evidenti condotte di uno dei genitori”. Inoltre, verrebbero eliminate le forme di sostentamento a favore del genitore affidatario (il cosiddetto assegno di mantenimento), così come la permanenza a priori nella casa di famiglia. Questa decisione, nelle forme di assolutismo in cui viene presentata, rischia di marcare le differenze economiche e la contrapposizione tra i due genitori, facilitando quello con maggiori disponibilità, sia nel sostentamento personale, sia nella relazione con i figli, considerando che ognuno provvederà autonomamente ai bisogni ed alle attività ricreative dei figli nei propri giorni di affidamento.

Questo aspetto è stato criticato anche dalle associazioni a tutela dei diritti delle donne, a fronte dell’evidenza statistica che ancora oggi nella maggior parte dei casi il modello familiare è ancora di tipo patriarcale, e che gli uomini hanno maggiori disponibilità economiche delle donne, e spesso più facilità nell’organizzazione quotidiana.

Infine, un aspetto rilevante sul piano anche professionale e metodologico riguarda l’obbligatorietà di un percorso di mediazione familiare. Come ben esplicitato dalle funzioni e dalle indicazioni stesse dell’istituto della mediazione familiare, non è possibile né utile intraprendere un percorso di questo tipo, che implica una profonda messa in gioco personale, prescindendo dalla volontà dei partecipanti e dalla valutazione del grado di conflittualità.

Alla luce di tutto questo, forse la domanda che bisognerebbe porsi riguarda l’opportunità di costruire percorsi di riflessione, ma anche giuridici, sulla base di un confronto interprofessionale. In parole povere, l’obiettivo di tutte le realtà, giuridiche, sociali, psicologiche, operanti nell’ambito dei minori è di garantirne il benessere ed un pieno e funzionale sviluppo. Perché allora non pensare insieme, ognuno con le proprie competenze e tecniche, gli strumenti più utili a raggiungere questo obiettivo? Strumenti che tengano in considerazione anche gli aspetti più intimi, legati alle emozioni, alle paure, alle preoccupazioni che naturalmente un genitore porta con sé, soprattutto se è accompagnato da un profondo senso di colpa per quanto teme di aver tolto al figlio.