Dott.ssa Silvia Gotti – Psicologa-Psicoterapeuta

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Le scorse settimane si è discusso molto sulla decisione della Cassazione di imputare la responsabilità dei bambini/ragazzi che escono da scuola alla scuola stessa.

“La Cassazione civile ha infatti più volte affermato il principio secondo cui l’istituto scolastico ha il dovere di provvedere alla sorveglianza delle allieve e degli allievi minorenni per tutto il tempo in cui le sono affidati e quindi fino al momento del subentro, almeno potenziale, della vigilanza dei genitori o di chi per loro. Secondo la Cassazione, il dovere di sorveglianza degli alunni minorenni è di carattere generale e assoluto, tanto che non viene meno neppure in caso di disposizioni impartite dai genitori di lasciare il minore senza sorveglianza in luogo dove possa trovarsi in situazione di pericolo”. Le finalità di questo obbligo di vigilanza “sono duplici: impedire che il minore compia atti illeciti e salvaguardarne l’incolumità” (Il Fatto quotidiano).

Nulla da obiettare se non fosse che in questo modo, la società in cui viviamo ribadisce una sorta di allungamento dei tempi per il raggiungimento dell’autonomia dei ragazzi.

Ci troviamo, quindi, all’interno di un paradosso: lamentiamo la condizione dei giovani adulti definendoli “bamboccioni”, mantenendo tuttavia la condizione stessa di “bamboccioni”. Qualcuno potrebbe obiettare che il termine “bamboccione” è stato usato per adulti di 30 anni e non per ragazzini di 12, tuttavia dalle opportunità di crescita di un bambino si può prevedere l’adulto che sarà. 

Infatti, il raggiungimento dell’autonomia individuale è un percorso molto lungo che ha inizio già dalla nascita. Quando il bambino nasce, incontra la sua prima importante separazione, quella dal grembo materno. Questo difficile momento viene superato grazie alle cure genitoriali che mantengono quel legame relazionale basato sulla dipendenza, dipendenza dall’altro per il nutrimento, l’educazione affettiva e interpersonale, il benessere psico-fisico. Si tratta di una dipendenza cercata, voluta, necessaria alla crescita, allo sviluppo del proprio sé.

Durante gli anni dell’infanzia, il bambino inizia a sperimentarsi in alcune attività che lo rendono più autonomo (il ritmo sonno-veglia, il controllo degli sfinteri,  l’ingresso nel mondo scolastico, le relazioni con il gruppo di pari, lo sport). Grazie a queste conquiste, riesce a costruire un’identità con la quale potrà lentamente sentirsi sicuro nell’affrontare situazioni che richiedono sempre più autonomia. I genitori svolgono ancora un ruolo determinante, indicando principalmente gli strumenti utili per fare da solo, aumentando una distanza di “azione” pur rimanendo comunque partecipi.

La preadolescenza, invece, rappresenta il primo vero campo in cui l’autonomia prende corpo. Le relazioni con i pari iniziano a sostituire la relazione con i genitori che diventa sempre più ambivalente e caratterizzata da contrasti (voglio stare con i miei amici, ma ho ancora bisogno di te). La fisicità, il modo di parlare e i bisogni cambiano in maniera significativa. Non sono ancora ragazzi, ma soprattutto non sono più bambini, qualcosa si sta muovendo dentro di loro e questo movimento andrebbe assecondato e sostenuto piuttosto che contrastato. Facilitare la crescita evolutiva e incoraggiarla attraverso una maggiore autonomia aiuta i ragazzi ad affrontare la crisi adolescenziale e a divenire giovani adulti.

Per diventare adulti competenti, sia dal punto di vista affettivo che cognitivo, questi passaggi sono fondamentali, il ragazzo può contare sulle proprie capacità interiorizzate per affrontare scelte importanti, per sentire di potersi individuare e lasciare il proprio posto all’interno della famiglia d’origine. Il percorso di separazione che è iniziato con la nascita, si conclude con il raggiungimento dell’età adulta, ma se la persona non ha gli strumenti necessari per sentirsi autonomo, questa separazione non avverrà mai.

L’uscita autonoma da scuola, non solo implica una fiducia nelle possibilità del ragazzo, ma risponde a un suo proprio bisogno, il bisogno di condividere il tempo, non scolastico, con i compagni, di potersi raccontare, di scambiare idee. Insomma un ulteriore spazio relazionale, diverso dalla famiglia e dal contesto scolastico, di cui i ragazzini di 12 anni cominciano a sentire di desiderare fortemente.

E’ chiaro che sono tanti i fattori che determinano l’autonomia, ma interrompere o allungare un percorso sulla base dell’assegnazione delle responsabilità, rende i ragazzi sicuramente non responsabili.

Il punto è la responsabilità del minore all’uscita di scuola dove i soggetti chiamati in causa sono i genitori e la scuola stessa. Tuttavia in questa visione ristretta si omette un aspetto importante: dove si collocano i ragazzi in tale questione? Sono un tutt’uno con i genitori, sono parte del sistema educativo, sono l’oggetto della relazione genitori-scuola? Si chiede loro all’interno dell’orario scolastico di assumersi la responsabilità di fare i compiti, seguire le lezioni, rispettare le regole interne (orario di entrata, orari delle lezioni, ricreazione, pulizia, silenzio…), prepararsi alle interrogazioni. Allo stesso modo a casa si chiede loro di assumersi la responsabilità relativa alle questioni familiari che li riguardano (studiare, sistemare i propri spazi, rispettare orari di rientro, partecipare alle attività sportive e non, gestire i pochi soldi della paghetta in maniera autonoma…).

L’idea che passa è che nel percorso da scuola a casa tutto questo non valga, le responsabilità si annullino, l’autonomia non possa esistere, contrastando tutto quello per cui genitori, scuola e ragazzi hanno fatto precedentemente.

Questa sembrerebbe quasi una sconfitta.